Una storia da osteria
Era il 1963 quando Francesco Piccarolo comprava la Trattoria di Via Biondi 4. Altri tempi i primi anni ‘60 a Milano.
In osteria ci si andava per abitudine, per stare in compagnia, per bere del buon vino, per giocare a carte e per rilassarsi.
La bevanda prevalente era il vino, le osterie dette anche 'trani' con trattoria annessa erano molte e lo Stalingrado -che ancora non si chiamava così- era una delle tante. Si distingueva però per il buon vino che Francesco Piccarolo (il Franco) originario del Monferrato faceva arrivare dal Piemonte attraverso la sua rete familiare.
Alcuni clienti venivano anche da lontano apposta per bere il vino dai Piccarolo...Si, I Piccarolo, perche' nel frattempo il 24enne Franco aveva coinvolto togliendolo al seminario il fratello Nino di 14 anni e messo sotto anche la giovane moglie Rita originaria del Salento ( altra zona dove in fatto di vino sanno il fatto loro ).
In quegl'anni i clienti erano per la maggior parte anziani e grandi giocatori di carte. Nella saletta dello Stalingrado si sono combattute le più acerrime battaglie a Scopone scientifico. Allora la posta in palio era la bottiglia e i modi dei clienti erano un certo un po' grezzi ma sinceri.
Il leader incontestato dell’epoca era sicuramente “il Balilla”, un brillantone che abitava al numero 88 del vicino Corso Sempione.
Franco gli aveva affibiato il nomignolo “la chioccia” proprio per la capacità innata di attrarre le persone attorno a sè (oggi potremmo definirlo un vero e proprio PR ante litteram ).
Certe notti Il Balilla rimaneva a bere fino a tardi e poi, tornato a casa, gridava alla moglie da sotto le finestre: 'Velia ven gio' che ghe la fu no'' , che tradotto dal milanese significa: Velia vieni' giù che non ce la faccio a salire le scale. Le scale erano le scale ripide di ringhiera, tipiche dei palazzi popolari milanesi di quegli anni, rigorosamente senza ascensore.
Ma i personaggi che frequentavano il locale erano tra i più vari e pittoreschi, e le bottiglie -ordinate urlando in dialetto milanese: “Picca porta qua un'alter botija con quater bicer”- erano molte.
In quegli anni, poi, il vino si comprava sfuso in osteria portandosi i bottiglioni da casa, e lo Stalinga riforniva di vino gran parte delle famiglie della zona..
Altrimenti ci pensava il Nino con il suo “Motom” a consegnare il vino a domicilio nella famosa cesta porta vino, spingendosi anche fino a Lambrate.
La trattoria, inoltre, serviva i pasti agli operai della vicina Alfa Romeo e ai molti muratori impegnati nel boom edilizio di quegl'anni.
Il menù era a buon mercato e i piatti quelli sostanziosi della più tipica tradizione Milanese, armai quasi spariti dalla maggior parte dei ristoranti: punta di vitello, casseoula, testina e lingua di manzo, ossobuco e così via.
Intanto, nella cantina sotto il locale il Franco si dava da fare a testare personalmente e a imbottigliare i vini più svariati e, con la scusa di dover scovare vini sempre nuovi per gli avventori più esigenti, organizzava gite e con un gruppetto di clienti/amici andava su e giù in giro per l’IItalia a bere e selezionare nuovi fornitori.
Dal prosecco veneto al Dolcetto d'Alba, dal verdicchio delle Marche al manduria della Puglia, fino al “mitico” Frascati di Monte Compatri. La cantina stessa era un vero e proprio elogio a Bacco: due botti di legno alte cinque metri troneggiavano il locale sotterraneo ove si conservavano anche una moltitudine di leccornie destinate alla cucina.
Era il 1963 quando Francesco Piccarolo comprava la Trattoria di Via Biondi 4. Altri tempi i primi anni ‘60 a Milano.
In osteria ci si andava per abitudine, per stare in compagnia, per bere del buon vino, per giocare a carte e per rilassarsi.
La bevanda prevalente era il vino, le osterie dette anche 'trani' con trattoria annessa erano molte e lo Stalingrado -che ancora non si chiamava così- era una delle tante. Si distingueva però per il buon vino che Francesco Piccarolo (il Franco) originario del Monferrato faceva arrivare dal Piemonte attraverso la sua rete familiare.
Alcuni clienti venivano anche da lontano apposta per bere il vino dai Piccarolo...Si, i Piccarolo, perche' nel frattempo il 24enne Franco aveva coinvolto togliendolo dal seminario il fratello Nino di 14 anni e messo subito a lavorare anche la giovane moglie Rita originaria del Salento ( altra zona dove in fatto di vino sanno il fatto loro ).
In quegl'anni i clienti erano per la maggior parte anziani e grandi giocatori di carte. Nella saletta dello Stalingrado si sono combattute le più acerrime battaglie a Scopone scientifico. Allora la posta in palio era la bottiglia e i modi dei clienti erano un certo un po' grezzi ma sinceri.
Il leader incontestato dell’epoca era sicuramente “il Balilla”, un brillantone che abitava al numero 88 del vicino Corso Sempione.
Franco gli aveva affibiato il nomignolo “la chioccia” proprio per la capacità innata di attrarre le persone attorno a sè (oggi potremmo definirlo un vero e proprio PR ante litteram ).
Certe notti Il Balilla rimaneva a bere fino a tardi e poi, tornato a casa, gridava alla moglie da sotto le finestre: 'Velia ven gio' che ghe la fu no'' , che tradotto dal milanese significa: Velia vieni' giù che non ce la faccio a salire le scale. Le scale erano le scale ripide di ringhiera, tipiche dei palazzi popolari milanesi di quegli anni, rigorosamente senza ascensore.
Ma i personaggi che frequentavano il locale erano tra i più vari e pittoreschi, e le bottiglie -ordinate urlando in dialetto milanese: “Picca porta qua un'alter botija con quater bicer”- erano molte.
In quegli anni, poi, il vino si comprava sfuso in osteria portandosi i bottiglioni da casa, e lo Stalinga riforniva di vino gran parte delle famiglie della zona..
Altrimenti ci pensava il Nino con il suo “Motom” a consegnare il vino a domicilio nella famosa cesta porta vino, spingendosi anche fino a Lambrate.
La trattoria, inoltre, serviva i pasti agli operai della vicina Alfa Romeo e ai molti muratori impegnati nel boom edilizio di quegl'anni.
Il menù era a buon mercato e i piatti quelli sostanziosi della più tipica tradizione Milanese, armai quasi spariti dalla maggior parte dei ristoranti: punta di vitello, casseoula, testina e lingua di manzo, ossobuco e così via.
Intanto, nella cantina sotto il locale il Franco si dava da fare a testare personalmente e a imbottigliare i vini più svariati e, con la scusa di dover scovare vini sempre nuovi per gli avventori più esigenti, organizzava gite e con un gruppetto di clienti/amici andava su e giù in giro per l’IItalia a bere e selezionare nuovi fornitori.
Dal Prosecco veneto al Dolcetto d'Alba, dal verdicchio delle Marche al Manduria della Puglia, fino al “mitico” Frascati di Monte Compatri. La cantina stessa era un vero e proprio elogio a Bacco: due botti di legno alte cinque metri troneggiavano il locale sotterraneo ove si conservavano anche una moltitudine di leccornie destinate alla cucina.
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La strage di piazza Fontana alla fine degli anni sessanta trascinarono Milano nel decennio lungo del secolo breve.